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Voci che gridano nel deserto

  • Immagine del redattore: Quilombo Cultura
    Quilombo Cultura
  • 27 mar 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 23 apr 2022

Sempre più intellettuali denunciano il diffondersi del verbo fascista.


La prima regola del fascismo: non si parla del fascismo


C'è - o forse c'era - una regola non scritta nell'Italia del post 25 aprile: il fascismo forse non è scomparso, ma se non ne parliamo nessuno si accorge che c'è. Se poi si eliminano (moralmente o fisicamente) quanti provano a denunciare che il sogno della camicia nera è purtroppo duro a morire, il risultato sarà ancora più eclatante.


Questo ragionamento è stato valido fino a qualche anno fa ed ha permesso a camerati di prima e seconda generazione di fare carriera di nascosto nelle istituzioni pubbliche e ufficialmente antifasciste. Negli ultimi anni tuttavia il clima è cambiato e si è fatto più pesante. La nostra Costituzione, sempre meno sana e robusta, è andata via via facendosi lettera morta e le leggi Mancino e Scelba riescono quasi ad essere più infrante di quelle che impedirebbero di vendere alcolici e tabacco ai minori.


A Trento una conferenza sul revisionismo storico


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La locandina dell'evento che si è tenuto a Trento

Queste tematiche sono state oggetto di un interessante incontro tenutosi il 24 marzo in un'aula della Facoltà di Sociologia a Trento e organizzato dal sindacato studentesco UDU. Gli ospiti presenti erano Francesco Filippi, storico della mentalità che da anni analizza il fascismo e le sue scomode eredità, Carlo Greppi, storico e scrittore, e infine Paolo Berizzi, cronista di Repubblica da tre anni sotto scorta per le minacce subite in seguito alle sue inchieste sulla galassia nera.


Sono stati molti gli spunti di riflessione lanciati al nutrito pubblico, ma accomunati da un'unica domanda: che succede? Com'è possibile che nel terzo millennio, in uno Stato regolato da una Costituzione scritta in seguito alla sconfitta sul piano militare del regime mussoliniano, ci sia sempre più la percezione che la vera vergogna non sia il dichiararsi apertamente fascisti (a parole o con gesti simbolici), ma antifascisti?


Il laboratorio veronese

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La copertina del libro di Paolo Berizzi sulle infiltrazioni fasciste nelle istituzioni veronesi

Se Francesco Filippi e Carlo Greppi, forti della loro formazione storica, hanno parlato del fallimento del processo di defascistizzazione dell'Italia del secondo dopoguerra e dei percorsi carsici che il fascismo ha continuato a percorrere silenziosamente nel nostro Paese, a Paolo Berizzi è toccato il compito di evidenziare quanto oggi affiliati a movimenti più o meno apertamente fascisti o nazisti sono pronti ad entrare nei luoghi di potere per condizionare in modo sempre più marcato il discorso politico della nostra Repubblica,


Il cronista di Repubblica ha inoltre ricostruito alcune delle tesi da lui già esposte nel saggio "È gradita la camicia nera" e collegate alla crescente presenza nelle istituzioni di personaggi dal curriculum quanto mai costituzionalmente dubbio. In questo senso, Verona è un modello (i dati sono tali da non rendere necessario il condizionale) che i camerati del terzo millennio vorrebbero replicare in altre città e - nei loro desiderata - a livello nazionale.


Tra i punti esposti da Berizzi rispetto alla motivazione per cui il modello veronese si è potuto imporre senza grosse opposizioni, c'è la singolare e pericolosa collaborazione tra tre anime diverse che altrove viaggiano in via parallela senza incontrarsi mai. La sinergia tra movimenti di base apertamente fascisti, partiti ufficialmente aderenti all'arco parlamentare, ma con simpatie nere sempre meno celate, e associazioni ultracattoliche profondamente conservatrici ha permesso che nella città scaligera uomini di una destra sempre più estrema, xenofoba e omofoba facessero carriere brillanti.


Il dissenso cattolico

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Padre Alex Zanotelli

Ed è proprio dal mondo cattolico che si alza un'altra "voce che grida nel deserto" e che si va ad affiancare a quelle presenti alla conferenza trentina. Credo che sia importante segnalarla in questa sede non solo perché parte del mondo legato alla Chiesa è stato coinvolto nella disamina sul fascismo odierno direttamente da Berizzi, ma anche perché in questi ultimi anni (decenni, verrebbe da dire), al di là dell'immagine pop del papa argentino, all'interno del mondo cattolico si fanno sempre più rare le voci di chi è in grado di portare una propria visione del mondo capace di uscire dal localismo parrocchiale per attivare uno scambio dialogico di qualche peso all'interno della società.


Un'importante e interessante eccezione resta quindi padre Alex Zanotelli, missionario comboniano per anni al servizio degli ultimi di Korogocho e oggi attivo nei quartieri popolari di Napoli per convertire "la tribù bianca". Proprio ai membri di questa tribù occidentale il sacerdote si rivolge nel suo breve testo "Lettera alla tribù bianca", grido di dolore e di denuncia composto mentre il mondo assisteva ammutolito al diffondersi di una pandemia che lo costringeva ad un'inattività tanto forzata quanto innaturale.

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La copertina del saggio edito da Feltrinelli

Alex Zanotelli crea nel giro di un centinaio di pagine un percorso intellettuale che parte dalla sua esperienza personale - fatta di crisi e conversioni - per arrivare ad un'analisi storica del rapporto tra mondo occidentale, in particolare cristiano, e derive razziste, giungendo infine ad un'impietosa analisi della situazione a noi contemporanea. L'immagine che ci lascia Zanotelli è quella di una Chiesa spaccata al suo interno tra quanti cercano di applicare il "nuovo corso" voluto da papa Bergoglio e quanti invece guardano con orrore alle aperture del pontefice venuto dalla periferia del mondo. Questi ultimi infatti si fanno portatori di una visione escludente della religione che gli impedisce di incontrarsi con la figura dell'Altro, ovvero del fratello tanto presente nelle predicazioni di quel Cristo che dichiarano di seguire.


Queste quattro voci che gridano nel deserto parlano all'unisono e dimostrano come non solo l'Italia , ma in generale il mondo occidentale debba con urgenza e decisione cambiare rotta se non vuole andare ad infrangersi con quegli scogli dell'indifferenza che portano linfa vitale ai regimi totalitari e alle politiche mortifere della galassia nera. Razzismo, omofobia, ma anche il negazionismo e il menefreghismo per i bisogni degli altri e del pianeta stanno segnando il dibattito di questi anni. Spetta dunque ai più giovani convertirsi ad un nuovo paradigma vitale.


Un modello dannoso


Il nocciolo del problema tuttavia, quello da cui derivano tutti gli altri, è il fatto che la visione del mondo occidentale, di quel modello tanto spesso sbandierato come il migliore, mostra un numero crescente di crepe che è sempre più difficile nascondere sotto il cerone dell'ipocrisia.


Alle guerre e alle pandemie, problemi che si potrebbe ancora con una certa cecità provare a considerare slegati dal nostro way of life, si accompagnano problematiche strettamente connesse al nostro modo di vivere individuale e collettivo: stress, depressione, disturbi alimentari e ludopatie che colpiscono in età sempre più precoce, ma anche la crescente denatalità e l'impennata dei suicidi che segnalano le cronache.


Sono segni tangibili che il mondo, per come lo stiamo costruendo, non funziona. Servono nuove colonne portanti, alternative a quelle dell'edonismo e del capitalismo, a cui affidarci per reggere la nostra vita. Anche perché è proprio sui cocci della società che abbiamo costruito che si muovono i fantasmi del fascismo e del nazionalismo, i quali propongono una falsa alternativa alienante che può risultare pericolosamente affascinante per chi in questo momento è più in difficoltà. È proprio per questo che ogni voce alternativa è di fondamentale importanza e non può essere lasciata sola.

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