Europa: la falsa soluzione del ReArm EU
- Quilombo Cultura
- 23 mar
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Nel dibattito pubblico a cui stiamo assistendo circa il futuro dell’Europa si notano due opzioni che vengono spesso usate come fossero la stessa cosa, quando invece porterebbero a conseguenze molto diverse tra di loro: l’organizzazione di un esercito europeo e il riarmo dei vari Stati che compongono l’Unione. Se non possiamo permetterci di rimanere passivi ad osservare il progressivo disimpegno americano, la
proposta di Ursula Von der Leyen per un piano di riarmo dei singoli Stati attraverso l’aumento del debito pubblico è quanto di più folle il nostro continente possa intraprendere, nonché il miglior lasciapassare per lo sfondamento di quei partiti di ultradestra che stanno mostrando sempre più i loro muscoli.

Più volte abbiamo sentito in questi giorni il riferimento ai fatti del 1938 quando, cercando di cedere alle prime richieste di Hitler, si sperava di sventare la tragedia della seconda guerra mondiale, mentre così facendo ci si gettava direttamente in braccio ad essa. Ci sono però altri due momenti storici che dovremmo tenere in considerazione per analizzare il presente e fare scelte ponderate. Il primo è quello che ha preceduto la Grande Guerra quando, per sostenere le economie nazionali, si è puntato sul protezionismo, lasciando che ogni stato intervenisse alzando i tassi sulle importazioni e stimolando le varie industrie locali attraverso le grandi innovazioni della seconda rivoluzione industriale. Se ieri queste “meraviglie della tecnica” si chiamavano mitragliatori e sottomarini, oggi possiamo chiamarli droni e sistemi di intelligenza artificiale, ma tant’è.
Il secondo fenomeno storico al quale a mio avviso è necessario guardare coinvolge l’evoluzione del mondo romano. Il loro “si vis pacem, para bellum” fa il paio con la proposta attuale di “ottenere la pace attraverso la forza”. Ha funzionato per i nostri lontani padri? In realtà sì, ma fino a quando gli imperatori hanno potuto mantenere la pace interna attraverso guerre che espandessero i confini del loro impero, ottenendo così terre con cui pagare la loro temibile macchina bellica. Quando invece l’impero è diventato troppo vasto per reggere ulteriori annessioni, allora proprio l’esercito è diventato il tallone d’Achille che ha costretto gli imperatori ad aumentare le tasse e a spingere sull’inflazione, contribuendo alla dissoluzione della civiltà romana.
Alla luce di ciò, se è davvero questa la strada che si vuole intraprendere, allora l’Europa si trova a un bivio: o rinuncia ai suoi valori fondanti per abbracciare un neocolonialismo capace di trasformare anche la guerra in un business di Stato (come peraltro sta cercando di fare Trump con l’accordo sulle terre rare imposto all’Ucraina), oppure accetta di tagliare sulla spesa sociale, garantendosi forse per un certo periodo la pace contro i nemici esterni, ma prestando il fianco ad un malcontento popolare che potrà facilmente essere raccolto da quelle forze eversive già presenti nel nostro panorama politico.
C’è tuttavia, e per fortuna, un’altra via possibile, ovvero la scelta politica di fare un balzo in avanti verso quel confederalismo di Stati che con ben poca fantasia potremmo chiamare Stati Uniti d’Europa. E se per arrivare a realizzare questo sogno si dovesse partire proprio dall’unione militare, allora ben venga la formazione di un esercito europeo volto però non ad aumentare le spese per la difesa, ma anzi a razionalizzarle. Si avrebbe così una “comunione di beni militari” in grado di liberare progressivamente crescenti risorse per mantenere quell’european way of life fatta di diritti e servizi che ci ha portato, tra l’altro, ad avere la più alta aspettativa di vita al mondo e che invece stiamo rischiando di perdere.
Per limitare le possibili tendenze espansionistiche dei nostri ingombranti vicini c’è quindi bisogno di cedere sovranità ad un’Unione Europea dei popoli, ad un’Organizzazione delle Nazioni Unite che torni ad essere efficace arbitro internazionale e in generale a quel potere diplomatico che in questi anni di guerra è stato messo in sordina per ingrassare le tasche di poche aziende che hanno fatto - e si prestano ulteriormente a fare - vergognosi extraprofitti sulla pelle di tanti innocenti. Come trentini, possiamo e dobbiamo far sentire la nostra voce nel segno di quella cooperazione internazionale che ha segnato la nostra storia e in nome di quelle cicatrici insanabili che ancora oggi segnano il nostro territorio chiamate trincee.




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