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Mi sto chillando, ma il cringiometro esplode

  • Immagine del redattore: Quilombo Cultura
    Quilombo Cultura
  • 29 mag 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 29 mar 2022

Riflessioni su cultura e neologismi


Pregiudizi in libertà


Da quando sono diventato insegnante, ho iniziato a sentire un mantra che in maniera tanto automatica quanto idiota in un primo momento ho iniziato a fare mia: gli adolescenti hanno un lessico sempre più povero. Bugia. I ragazzi non hanno un linguaggio più limitato, anzi quest’ultimo è talmente ricco e sfaccettato che i giovani stessi non sempre sono in grado di capirsi nemmeno tra loro.


Da dove viene allora questo pregiudizio così diffuso tra gli insegnanti? Dal fatto che tra il linguaggio della generazione Z e quello dei loro docenti, naturalmente “boomers” al di là della loro età anagrafica, c’è un gap culturale che impedisce qualsiasi tipo di comunicazione. Per dire, la capacità che noi insegnanti abbiamo di comprendere lo slang dei nostri studenti è pari a quella che potrebbero avere loro davanti a un testo di Cicerone in lingua originale. Ascoltando i loro discorsi, potremo capire qualcosa ad sensum, ma la maggior parte del loro discorso risulterà un trobar clus 2.0. Perché stupirsi allora se a loro volta i ragazzi non capiscono molti termini per noi di uso comune?


Tra (culturalmente) sacro e profano


L’altra mattina mi sono svegliato con il cellulare che si illuminava sul comodino: un’amica mi aveva taggato su Instagram per segnalarmi un video in cui Fedez riconosceva come suo Vangelo il prof. Alessandro Barbero. Per curiosità sono andato a leggere il testo della canzone da cui era tratta questa laica professione di fede e sono rimasto sconvolto davanti al mio analfabetismo funzionale. Non ero in grado di capire almeno il cinquanta per cento del testo. Privo di un’adeguata bussola culturale, mi sentivo tra quei versi perso come un esploratore giunto in terra minacciosa e inospitale. Con un certo snobismo culturale, il primo istinto è stato quello di bollare come robaccia la canzone di Fedez, poi mentre il caffè mattutino faceva il suo effetto, ho iniziato a fare i conti con la mia coscienza.


Qualche anno fa, credo nel libro Tienilo acceso, Vera Gheno metteva in evidenza le caratteristiche dell’italiano digitale o e-taliano, ovvero la lingua madre applicata al mondo del web. Tra le caratteristiche messe in evidenza c’erano frasi brevi, lessico gergale con presenza di anglicismi e prestiti da vari dialetti, refusi e/o veri e propri errori ortografico grammaticali. Nulla di tutto ciò si è modificato, eppure sembra passato un secolo dalla pubblicazione di quel testo. Cosa è successo nel frattempo? L’e-taliano si è trasformato in una lingua 5G: rapida, misteriosa, i cui effetti sulla comunicazione sono ancora tutti da scoprire.


Le caratteristiche del primo e-taliano si sono infatti – per così dire – radicalizzate, andando a pescare a piene mani dall’inglese, facendo cadere ogni barriera di registro linguistico, ma soprattutto – e forse questo è l’elemento più interessante – andando a cercare i propri riferimenti culturali in un mare sempre più vasto, spostandosi senza soluzione di continuità tra la cosiddetta cultura “alta” e “bassa”. Per tornare a Fedez, non so cosa pensi il professor Barbero a trovarsi in un’allegra brigata con Young Miles, Dikele e Andrew Wiggins…


Il villaggio globale e i villaggetti


Dove Vera Gheno aveva visto lungo invece, era la premonizione della trasformazione di Internet da villaggio globale a esplosione di mini villaggetti che tra loro faticano a comunicare. Le lingue parlate da ogni gruppo sono diverse tanto sul piano lessicale, quanto contenutistico.


Spesso il linguaggio giovanile – lo era anche decenni addietro – è infarcito di citazioni tratte dai tormentoni culturali e possibilmente trash del momento. Chi come me era adolescente negli anni d’oro dei vari Mai dire… realizzati su Italia Uno dalla Gialappa’s Band avrà usato più volte espressioni come “Ah, la tauromachia!”, oppure “Stanco? No oggi no…”. Quando si dicevano queste frasi, i nostri genitori ci guardavano come se avessero sentito parlare un alieno, ma tra di noi ci si capiva, il riferimento era chiaro. Allo stesso tempo, un insegnante che avesse voluto fare una strizzatina d’occhio culturale ai suoi studenti avrebbe saputo dove andare a pescare senza problemi.

Di fatto era sempre stato così. Immaginiamo un professore che negli anni Cinquanta e Sessanta fosse entrato in aula levandosi gli occhiali e avesse esclamato “Allegria! Nemmeno un’insufficienza!”: nella mente dei suoi scolari sarebbe comparsa la gioconda facciona del vecchio Mike a “Lascia o raddoppia?”. Allo stesso modo, negli anni Novanta un giovane professore di liceo avrebbe potuto azzardare che “Dante e Beatrice dimostrano che basta salutarsi due volte nella vita per rientrare nella regola dell’amico. Se sei amico di una donna non ci combinerai mai niente!”.


E oggi? Oggi è tutto più complesso, tanto per i ragazzi (che non si comprendono a pieno fuori da cerchie tanto ristrette quanto specializzate) quanto per gli educatori che vogliano fare riferimento al loro mondo. Se spiego la similitudine affermando che sono confuso come “un camaleonte in mezzo agli Smarties” (poi non cito più Fedez, giuro) qualcuno capirà il riferimento, mentre rimarrà estraneo per i tanti che invece capiranno la metafora per cui “in un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr” o chi capirà la rima con la poesia dei versi “Sono Giovanna d’Arco / noi ci becchiamo al parco” made in Miss Keta.


Follow the white rabbit


Giunti a questo punto, uno si potrebbe lecitamente chiedere… e chi se ne frega? In realtà non possiamo fare a meno di analizzare questa condizione per due motivi. La prima, e la più banale, è per non stigmatizzare inutilmente i nostri studenti o figli (nel caso fossimo genitori di adolescenti) bollandoli rapidamente come ignoranti, senza vedere la trave che perfora il nostro occhio anacronistico.

C’è tuttavia un secondo motivo di interesse che trovo ancora più urgente. Spesso i ragazzi stessi non conoscono il senso o l’etimologia dei termini e dei riferimenti culturali che usano. Basterebbe googlare e nel giro di qualche secondo avrebbero tanto la spiegazione dell’espressione “mi sto chillando”, quanto l’etimologia dell’espressione “Shut up, boomer!”.


Il problema è che non lo fanno e non perché siano ignoranti o menefreghisti, non lo fanno perché la scuola non insegna loro che Google a lezione non serve solo per cercare le date o le cause della Guerra dei Cent’anni per rispondere in modo corretto alle domande della verifica in DAD. Su internet si trova anche chi è quella Giorgia che in un video remix su Youtube affermava di essere “una donna, una madre e una cristiana”. Si trova il rapporto tra Kendrick Lamar e il movimento Black Lives Matter. Si trova il perché dei meme su Instagram che presentano non solo una banana attaccata al muro, ma anche una bicicletta, una birra Peroni o la regina d’Inghilterra.

Potremmo insegnare loro a seguire il Bianconiglio del loro linguaggio nella tana dei significati e delle etimologie, ma non lo facciamo. Perché? Perché è molto meglio chillarsi nella convinzione di essere nel giusto, forti delle nostre conoscenze letterarie. Nel frattempo ci stanno triggerando con la loro lingua 5G e il cringiometro esplode.

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