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Quid est veritas?

  • Immagine del redattore: Quilombo Cultura
    Quilombo Cultura
  • 1 apr 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 23 apr 2022

Con Zoo va in scena al Piccolo l’autofiction di Sergio Blanco


Una domanda ingombrante


Durante il secondo interrogatorio a Gesù, poco prima di fare il gesto per cui entrerà pienamente nella dimensione immortale del mito, Ponzio Pilato si rivolge al Nazareno che gli sta davanti con la domanda che nel testo latino suona così: “Quid est veritas?”.

Non era una domanda nuova, visto che già secoli prima si proiettava implicitamente sulle pareti della caverna di Platone, ma l’esplicitazione di questo quesito apparentemente semplice nel dettato evangelico rende la questione di primaria importanza nel mondo occidentale.


Ancora oggi si dà troppo peso alla verità e si divide la realtà in modo manicheo tra ciò che è vero e ciò che non lo è, tra chi lotta per la verità e quanti invece tramano per il suo oblio. Ciò tuttavia è una visione semplificata del reale che troppo spesso finge di ignorare il peso della soggettività che naturalmente agisce nella nostra lettura del mondo. Le cronache ci parlano sempre più spesso di fake news e di danni derivati dalla loro circolazione, fenomeno esecrabile e facilmente condannabile. Il problema tuttavia si fa molto più spinoso nel momento in cui proviamo a riflettere sulla nostra consapevolezza di essere - consciamente o inconsciamente - registi di un film che ritrae il mondo da un punto di vista parziale e quindi necessariamente soggettivo..


L’autofiction di Sergio Blanco

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Lino Guanciale interpreta Sergio nella nuova produzione del Piccolo Teatro

Il preambolo fatto può apparire fuori tema, eppure è necessario per comprendere a pieno lo spettacolo Zoo che ha debuttato sabato 26 marzo al Piccolo Teatro Grassi di via Rovello. Questa nuova nuova produzione del teatro meneghino è stata scritta e diretta da Sergio Blanco e interpretata magistralmente da Lino Guanciale e Sara Putignano. La storia narrata in Zoo si potrebbe raccontare in poche parole: l’autore ricostruisce sulla scena una sua incredibile relazione con un gorilla, nata come studio per la stesura di un nuovo testo, evoluta in maniera inaspettata a causa della regolarità degli incontri e culminata in un’impossibile attrazione erotica.


Detta così, si potrebbe liquidare la vicenda narrata nello spettacolo come una questione tanto scabrosa quanto banale, più adatta a qualche pagina web dai contenuti libertini che ad una delle maggiori istituzioni culturali di Milano… eppure… eppure “quid est veritas?”. La domanda ritorna in continuazione senza mai essere esplicitata, in un gioco di ruoli per cui gli interpreti incarnano loro stessi, i loro personaggi, ma anche la voce dell'autore che ha creato l'opera. Blanco crea così un gioco di specchi riflettenti e allo stesso tempo deformanti che avrebbe fatto andar fuori di testa lo stesso Pirandello.


L’autofiction di Blanco viene evocata più volte sulla scena e diventa gioco intellettuale, come avviene quando Lino Guanciale prima elogia il regista come fosse un sincero complimento, salvo poi ammettere che quelle parole gli sono state messe in bocca dallo stesso drammaturgo, al quale piace autoincensarsi attraverso le sue creature letterarie. Così facendo tuttavia l'attore esce dai panni del personaggio per rompere la finzione scenica ed entrare in un altro piano che però si rivela altrettanto finzionale.


Zoo tra Darwin e Morris


I personaggi si muovono all’interno dello spazio claustrofobico del laboratorio veterinario di uno zoo dove è ospitato il primate Tandzo, sopravvissuto miracolosamente all’epidemia di ebola che ne ha sterminato la famiglia. Il Sergio personaggio prende appunti, sperimenta la sensibilità della scimmia davanti alla bellezza e parla con la dottoressa Rozental che risponde alla vacuità della letteratura con le verità della scienza. La notte invece lo scrittore viene perseguitato nei sogni dal fantasma di Edda Ciano, la figlia maggiore di Mussolini dalla vita sregolata.

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Sara Putignano

Zoo è in qualche modo la trasposizione sulla scena della visione di Todorov per cui l'arte e la bellezza potrebbero salvare il mondo. È quindi un dono importante quello che Blanco offre ai suoi spettatori (e forse anche ai suoi stessi attori), soprattutto in questo periodo storico sospeso tra il trauma pandemico in cui l'arte - e il teatro in particolare - ha subito un forzato ammutolimento e l'angoscia per una preoccupante escalation militare. La letteratura di Stendhal, la musica classica, le avventure hollywoodiane, ma anche il teatro di shakespeare e le poesie di ogni tempo ci darebbero, secondo la visione di Blanco, la possibilità di trascendere la nostra dimensione umana per fonderci e relazionarci con altre specie, quasi come se la separazione evolutiva tra noi e gli altri primati fosse stato solo un piccolo accidente e non un punto di non ritorno senza precedenti. Zoo incarna quindi una sorta di educazione sentimentale che celebra la bellezza quale valore universale in grado di unire empaticamente anche specie viventi differenti.


Parole, immagini proiettate su tutta la scenografia e musiche pop-rock completano uno spettacolo complesso e vorticoso che trascina lo spettatore nel gioco dell'autore e dei personaggi. Sono molteplici gli affascinanti fantasmi che si animano sulla scena, con plurimi rimandi a Darwin e alle sue teorie evoluzionistiche, ma anche alle visioni di Desmond Morris e alle sue suggestioni sull'animale uomo, la scimmia nuda.


Uno spettacolo da vedere assolutamente, ma con un elemento che resta irrisolto


Ci sono molti elementi di interesse in questo spettacolo e invitiamo caldamente quanti avessero la possibilità di passare da Milano in questi giorni a non perdere l'occasione per andare al Piccolo. Con i personaggi di Zoo si ride e ci si commuove, grazie alla bravura degli interpreti ed alla finezza letteraria e teatrale di Blanco. Il drammaturgo quindi si dimostra capace di inserirsi nel solco di una tradizione letteraria che ha le sue radici più lontane nella poesia greca e latina prima ancora che nel Cantico delle creature di San Francesco.


L'unico elemento critico che viene da sollevare in un lavoro dai tanti pregi è dato dal fatto che, nonostante i desiderata dell'artista franco-uruguaiano presentati nel libretto di sala, al termine dello spettacolo si esce con la sensazione di essere ancora in una dimensione che mantiene un punto di vista sostanzialmente antropocentrico. Ciò di cui forse si percepisce la mancanza in questo testo, infatti, è una vera reciprocità nella relazione uomo-animale. Sergio infatti forma il gorilla Tandzo con le sue proposte culturali ed eleva l'animale avvicinandolo all'essere umano e alla nostra idea di bello. Bisogna dire però che una relazione è sempre una contaminazione e quindi quello che manca è una progressiva "animalizzazione" o riscoperta di uno stadio animale da parte dello scrittore.


In un mondo che troppo spesso guardiamo "da padroni", quindi da specie superiore, sarebbe necessario che la cultura ci mostrasse la possibilità di scegliere la via di un salvifico imbarbarimento quale strada per ricongiungerci al tutto che ci circonda e dal quale dipendiamo in modo simbiotico, ci piaccia o no.

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La bellezza diventa un'educazione sentimentale che unisce le diverse specie viventi


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