Nomadland: tra individualismo e nuovo anarchismo
- Quilombo Cultura
- 7 giu 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 29 mar 2022
Siamo figli dell’epoca, l’epoca è politica. Tutte le tue, nostre, vostre faccende diurne, notturne sono faccende politiche.
Così scriveva la poetessa Wisława Szymborska negli anni Ottanta e a partire da ciò non si può far altro che definire Nomadland un film profondamente politico.
Sono tornato al cinema qualche giorno fa, dopo mesi di astinenza a causa della pandemia e non posso nascondere l’emozione che ho provato nel momento in cui le luci si sono affievolite e la sala si è spenta di tutti i rumori, ad eccezione delle voci dei trailer.
Nomadi nell’America contemporanea

Dopo i ritardi per la chiusura delle sale cinematografiche, arriva anche in Italia Nomadland, il film con il quale Chloé Zhao, regista cinese naturalizzata americana, ha strappato tre premi Oscar (su sei candidature) all’ultima kermesse hollywoodiana: miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista.
La pellicola mostra, con ritmo piano e occhio freddamente lucido, le vicende di una vedova che, in seguito alla chiusura della fabbrica dove aveva lavorato il marito e alla conseguente crisi che aveva colpito il suo villaggio, sceglie di lasciare tutto e di partire con il suo van per le strade degli States. Fern, la protagonista, riesce a sbarcare il lunario grazie a lavori saltuari e ad un ritorno al baratto tra nomadi del nuovo millennio come lei.
Un nuovo anarchismo per i delusi dell’American dream
L’elemento più interessante del film infatti, al di là delle vicende personali della protagonista, è l’avvicinamento della donna alla comunità degli altri “senza casa”. Qui si trovano persone di mezza età o di età avanzata, accomunate dalla disillusione nei confronti dell’American dream. Si sentono presi in giro da una società che ha insegnato loro a inseguire il dollaro, prima di abbandonarli non solo senza ricchezze, ma anche senza più certezze e speranze.
I nomadi del nuovo millennio, attaccati più ai legami personali (e ai loro van) che al denaro, possono essere visti come portavoce di una nuova specie di anarchismo che se da un lato non demonizza il mercato (i protagonisti lavorano saltuariamente nei magazzini Amazon e in catene di fast food), dall’altro lo sfruttano per ritrovare un nuovo equilibrio tra libertà, lavoro e natura.

La terza America
I personaggi di Nomadland sono profondamente americani, così come lo sono i panorami mozzafiato in cui si muovono. Gli States di Zhao tuttavia sono tanto lontani da quelli delle grandi città, quanto da quelli bianchi, incazzati e razzisti. Per le strade ghiacciate del grande nord o nei deserti dell’Arizona si trovano infatti uomini che cercano un nuovo senso del vivere individuale e collettivo.
Dall’analisi delle figure che circondano Fern emerge così un secondo tema che scorre sotterraneo, come un fiume carsico pronto a emergere efficacemente in alcuni punti centrali: la ricerca di un nuovo senso del vivere. Quasi tutti i personaggi di Nomadland appaiono bloccati psicologicamente, come se il loro essere in costante movimento fisico fosse un antidoto ad un dolore che li frena emotivamente. Lutti, solitudini ed insoddisfazioni emergono nei dialoghi più come rivelazioni estemporanee che come chiare spiegazioni di una scelta di vita. La necessità della crisi economica si intreccia quindi ad altre spinte che portano i personaggi ad abbracciare il nomadismo come una nuova ragione di vita.
Impossibile allora non chiedersi quale possa essere il sogno che li muove, quale il desiderio. Probabilmente nessuno. Eppure, a dispetto delle amare premesse, una scelta di vita sostanzialmente individualista si trasforma nella creazione di una nuova (contro) società liquida che si tiene agganciata grazie alle nuove tecnologie e che accoglie l’altro in modo indiscriminato, senza giudicare.
Giunti poi alla fine non c’è spazio per il dolore, ma solo per il ricordo, perché tanto “ci si incontra di nuovo lungo la strada”.
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