L’Ariaferma delle carceri: umanità in gabbia
- Quilombo Cultura
- 23 feb 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 23 mar 2022
Ariaferma: un film in streaming

Ariaferma: la locandina del film
Una struttura in pietra pesante come un monastero medievale, lugubre come un cimitero romantico, ma vuoto come un residuo della civiltà industriale. Eppure non è nulla di tutto ciò. Il carcere dove è girato Ariaferma è situato nella località immaginaria di Mortana, in una suggestiva Sardegna quanto mai lontana dal continente e dalla contemporaneità. Perché Mortana è proprio questo: un luogo fuori dal mondo, relegato lontano dagli occhi della “gente per bene”, e allo stesso tempo fuori dal tempo.
Qui, dove ormai non ci dovrebbe essere nessuno a togliere il potere assoluto al tempo, lebbra capace di logorare i luoghi, per un problema tecnico restano ancora un pugno di agenti a controllare gli ultimi dodici detenuti in attesa di trasferimento. Tanto gli uni quanto gli altri sono uomini – in un universo claustrofobicamente maschile – di cui non si conosce né il passato né il presente fuori dalle mura del carcere. È come se per le stesse guardie carcerarie l’ora d’aria in cortile fosse l’unica alternativa al mondo delimitato delle celle. Le stesse stanze dei poliziotti hanno qualcosa di monacale nella loro spartana desolazione.
Le relazioni umane nelle carceri
Della situazione nelle carceri italiane si è parlato spesso negli ultimi mesi, soprattutto dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere. Situazioni di cronaca non uniche nel loro genere, ma percepite in maniera tanto più drammatica per la presenza di immagini capaci di dar forza a parole troppo dure per essere, da sole, pienamente digerite dalla gente. Quello che manca spesso in queste ricostruzioni giornalistiche, tuttavia, sono le dinamiche umane che intercorrono tra detenuti e vigilanti nella quotidianità, segnata da una convivenza tutt’altro che spontanea. A questa mancanza, il regista Leonardo Di Costanzo, giunto alla sua terza opera di finzione, prova a dare una risposta fantastica, ma quantomai verosimile.
Ariaferma racconta infatti di come un elemento semplice quale la condivisione di alcune difficoltà comuni a detenuti e poliziotti possa far cambiare una relazione apparentemente immutabile. Riassumendo così la trama, tuttavia, si rischia di trasformare il film in una favola buonista, ma non c’è nulla di tutto questo. Il regista mette in scena sì una serie di episodi in cui poliziotti e detenuti escono dai loro ruoli pirandelliani per scoprirsi figure più a tutto tondo di quanto pensino, ma queste crepe nel muro sono destinate ad essere fessure dalle quali la luce dell’umanità filtra senza mai sfondare.
Un cast di primo livello
Il film è segnato da una grandissima cura che investe tutti gli aspetti della produzione, dalla fotografia all’incalzante colonna sonora. Questa in particolare ha il merito di dare vita all’effetto di un atteso colpo di scena costantemente ritardato, quasi fosse una nuova versione del Deserto dei Tartari.
Gli attori infine sono perfetti nei loro ruoli, a partire dai due protagonisti Toni Servillo e Silvio Orlando. Il primo incarna il poliziotto più anziano, quello a cui viene data in mano la gestione emergenziale fino al trasferimento dei detenuti. Il secondo invece ha il compito di incarnare Lagioia, carcerato che da piccoli dettagli distribuiti con giusta parsimonia si intuisce essere un membro di primo piano della criminalità organizzata.
La relazione tra i due personaggi principali, spesso fatta più di sguardi e di parole smozzicate che di dialoghi veri e propri, è il motore del film, ma poco potrebbe fare se attorno ai due protagonisti non ci fosse un cast di primo livello. Spetta infatti ai comprimari e alla loro corale credibilità il compito di arricchire una pellicola dalla trama esile, ma impreziosita dall’imperfetta umanità di ciascuno dei suoi personaggi.
Dal grande al piccolo schermo il passo è sempre più breve
Ariaferma è stato ingiustamente escluso dal concorso di Venezia, come puntualmente denuncia Paolo Mereghetti nella sua rubrica per Io Donna. Anche il suo passaggio nelle sale cinematografiche è passato troppo in sordina. Per fortuna, a rompere gli schemi di un panorama cinematografico spesso incapace di valorizzare i suoi frutti migliori, entrano a gamba tesa ancora una volta le piattaforme di streaming. In questo caso il film è disponibile su Prime Video.
Non è mia intenzione entrare qui nel dibattito tra i puristi della sala cinematografica e i sostenitori dell’home cinema. Vorrei tuttavia mettere in evidenza la potenzialità che l’on demand può rappresentare per quei film che non hanno né il peso dei colossal hollywoodiani né l’appeal nazional popolare delle commedie ridanciane. Senza negare l’importanza del passaggio in sala, forse per questi prodotti culturali il rapido upload sulle piattaforme di streaming legale può diventare una ricchezza per una circolazione più lenta e meno impattante, ma a lungo andare più efficace del tradizionale circuito distributivo.





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