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La maledizione delle donne

  • Immagine del redattore: Quilombo Cultura
    Quilombo Cultura
  • 29 gen 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 23 mar 2022

Le donne maledizione per gli uomini

Torna nelle librerie, ripubblicato nella collana economica, un breve testo di alcuni anni fa della celebre studiosa di cultura classica Eva Cantarella. La storica torna su un tema – quello della condizione femminile- che, a giudicare dalla sua prolifica e preziosa opera, le è particolarmente caro e congeniale. Gli inganni di Pandora, questo è il titolo del saggio, è un volume agile e accattivante che indaga sotto diversi aspetti quale fosse la condizione femminile in quella che è considerata “la culla della nostra civiltà”.

Una punizione divina

La maledizione delle donne: Pandora

La prima parte del saggio interpella infatti quella che può essere considerata la più antica fonte culturale greca, ovvero il corpus dei miti e dei poemi epici. Esiodo, poeta a lungo considerato contemporaneo e antagonista di Omero, è cristallino nel suo giudizio sulle donne: sono un male necessario per gli uomini. La necessità del genere femminile è data naturalmente dal bisogno della specie di garantire la presenza di una progenie.

Di più, se nel mito biblico la donna era chiamata ad essere compagna dell’uomo, del quale condivideva la natura (oltre naturalmente ad una costola), in Esiodo la donna ha una natura diversa, “natura di cagna” per di più, e sarebbe stata mandata dagli dei come forma di vendetta.

Prometeo aveva infatti donato agli uomini il fuoco divino e pertanto Zeus, non essendo soddisfatto dalla sola punizione corporale dell’eroe incatenato alla montagna, pensa di punire anche le sue creature umane inviando loro una punizione “in carne ed ossa”. La donna, appunto, nella fattispecie Pandora. Quest’ultima, cedendo alla sua natura impulsiva e irrazionale, libera per il mondo tutti i mali possibili dopo aver scoperchiato il celebre vaso che da lei prende il nome. Da qui in poi, l’epos è un susseguirsi di pregiudizi misogini che ci piacerebbe bollare come “invenzioni di poeti”, mentre invece la ragione è una cosa seria, quindi…

Uteri migranti e filosofi misogini

Quindi nulla: anche quando si arriva ad analizzare gli scritti di medici e filosofi, gente che secondo i nostri studi avrebbe dovuto usare il logos, si vede come spesso il loro valore raziocinante si infrangesse davanti all’ignoranza rispetto alla femminilità. Le tesi mediche erano quanto più varie possibili e spesso coinvolgevano organi femminili che si sarebbero mossi nel corpo, dando vita a problemi di vario genere. Diverse le teorie, ma una e comune era la conclusione, nonostante qualche possibile eccezione (vedi il Platone della Repubblica, smentito dal Platone del Timeo): era innegabile l’inferiorità della donna all’uomo.

C’erano dunque molti motivi per vedere nella donna un qualcosa di diverso rispetto al suo contraltare maschile, ma le conclusioni pratiche potevano essere riassunte in pochi punti chiave: se la donna è meno capace dell’uomo, a quest’ultimo doveva andare la potestà sul “sesso debole” perché guidasse le donne di casa nella vita e le gestisse come meglio credeva.

Le donne non educano

Un paragrafo particolarmente interessante, soprattutto perché i suoi contenuti mostrano una realtà lontana dall’evoluzione che il ruolo femminile ha avuto nel corso dei secoli, è quello legato all’educazione dei figli (maschi, inutile dirlo). La sua alterità biologica e psicologica rendeva la donna poco adatta alla vera educazione dei futuri cittadini, per cui questa era affidata dalla comunità agli uomini, in qualità di padri da una parte e di pederasti dall’altra. La relazione con quelli che si possono chiamare semplificando molto “gli amanti” a cui i giovani erano affidati è molto complessa e sarebbe sbagliato relegarla nelle relazioni di natura omoerotica, poiché aveva sfaccettature oggi non solo (giustamente) considerate esecrabili, ma anche sinceramente incomprensibili.

E oggi, a distanza di millenni, quanto è cambiata la situazione? L’autrice non fa mai confronti diretti, eppure il fantasma dell’attualità serpeggia costantemente negli spazi bianchi tra una riga e l’altra. La conclusione verso cui la studiosa guida i suoi lettori è che forse i nostri “padri culturali” non erano così simili a noi, eppure – se alla Grecia vogliamo e dobbiamo dare un titolo di paternità – ci tocca includere in questo anche l’origine più lontana di alcuni dei pregiudizi più duri a morire.

Verranno tempi nuovi?

Nei giorni in cui si cerca di eleggere un Presidente della Repubblica e si sentono i politici nostrani ammettere che forse è tempo di un Capo di Stato di genere femminile, quasi a scacciare con fastidio etichette di misoginia sopportate a lungo senza particolare difficoltà, non si può che pensare a Pandora. Chissà, forse se dopo aver scoperchiato il vaso, imparata la lezione, gli uomini le avessero detto “e ora guidi tu le cose per sistemare” gli eventi avrebbero preso una piega diversa. Invece i maschi decisero che toccava a loro rimediare al danno di Pandora, ma non ammisero mai che forse in mezzo a quei mali si trovavano meglio che nell’età dell’oro.

Nonostante le loro differenze, o più probabilmente proprio grazie a queste, il mondo greco ci continua a raggiungere in tutta la sua grandezza e fascinazione, provocandoci e mettendoci impietosamente a nudo. Non è detto che ci sia da andare fieri del nostro essere, ma l’occhio lucido e disincantato dei nostri padri e di Eva Cantarella ci guidano a scoprire il lato oscuro della nostra specie.

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